Il primo Bosco a San Martino di Venezze (RO): radici che afferrano la storia

Un salto lungo più di 2500 anni. Il primo Bosco ci porta direttamente all’età del bronzo. Chi mai avrebbe potuto pensare potesse essere così impegnativa la prima creazione del Progetto Centoboschi?  Certo è un salto metaforico, non di sforzo fisico si può parlare, quanto piuttosto di un esercizio della fantasia a cui si sono lasciati ispirare gli ideatori del progetto allorquando piantando alberi immaginavano come potesse essere quella terra più di duemila anni addietro, quando ancora San Marino non esisteva ed il Polesine era una landa, sconsolata, acquitrinosa e piatta.

Recuperare la storia locale 

Quella di San Martino di Venezze è una storia ricca che, tuttavia, come spesso accade per i paesi di provincia, tende ad essere sottovalutata.

Nell’antichità, San Martino era una zona paludosa, situata su un agglomerato di isolette che, successivamente, i romani definirono “Paludi Adriani” o, più semplicemente, “Polesinum”. In quest’area si insediarono dapprima i Veneti, poi gli Etruschi ed infine, verso il V secolo a.C., i romani. Terra fertile, popolata da una fauna variegata e da una florida vegetazione, anche l’attuale territorio di San Martino venne sfruttato per le numerose risorse. Nel corso dei secoli, il territorio venne battuto da Longobardi, Bizantini e Franchi. In particolare, San Martino beneficiò della vicinanza del monastero della Vangadizza, fondato nel X secolo a Badia Polesine e attivo fino al XVIII secolo. Nel corso del Medioevo, la zona fu contesa da importanti signori del tempo, come gli Estensi, i Carraresi e i Veneziani: quest’ultimi dominarono la zona fino alla fine della Serenissima, nel 1797. Dall’attracco di Beverare, frazione di San Martino, si possono vedere bene i resti di una fortezza che affiorano dal fiume durante i momenti di siccità. Si presume che questa venne costruita dai Carraresi, signori di Padova e conti di Anguillara, per difendere i confini con Venezia.

Nel 1866, anno dell’annessione del Veneto al regno d’Italia, si aggiunse la nominazione “Venezze”, che tuttavia è di dubbia origine. La morfologia e il clima del territorio sono ciò che hanno caratterizzato principalmente la storia di questo comune, soprattutto per quanto concerne le alluvioni: si registrano le più gravi nel 1634, 1671, 1760, 1844 e 1882. Quest’ultima determinò un processo migratorio verso il Sud America. Nel 1951 con l’alluvione del Po il paese fu tra quelli evacuati, determinando un’ulteriore e consistente migrazione verso le regioni del triangolo industriale.

Purtroppo, il trend del calo della popolazione, soprattutto giovanile, non si è arrestato negli anni.  Per questo le iniziative a favore delle nuove generazioni si fanno sempre più preponderanti. Ma com’era San Martino, prima dell’urbanizzazione e della progressiva industrializzazione messa in atto a partire dal XX secolo? Come molti comuni del Polesine, anche San Martino poteva vantare numerosissime aree verdi, boschive, e un paesaggio immerso nella natura incontaminata.

Nel corso dei decenni, però, la logica della deforestazione non ha risparmiato nemmeno le realtà locali, cambiandone radicalmente la fisionomia.

Una bella testimonianza, che resiste nel tempo, di questo passato più vicino alla natura è Corte Fieneletto, oggi Tenuta Castel Venezze, in località Saline. La corte, costruita nel XVI secolo e appartenente alla famiglia Venezze, sorge sui resti di un castello costruito intorno al Mille e distrutto in seguito nelle battaglie tra Estensi e Veneziani. Di stile ferrarese, oggi la tenuta ospita un agriturismo in aperta campagna ed circondato da splendidi alberi, vi sia accede percorrendo una strada in pietra, conservata alla stato originale, che nel medioevo collegava Padova a Ferrara. L’ala est della villa centrale costituiva un tempo il confine tra i territori Estensi e la Serenissima e presso la posta si era soliti pagare i tributi.

Biodiversità è tutela del creato ma anche del passato  

Per capire qualcosa di più sul “Bosco della Fanciulla del Grano d’oro” e sull’idea evocata dal suo nome, bisogna chiedere direttamente agli ideatori di Centoboschi.

Innanzitutto, perché un nome così particolare per questa area verde? Evoca un simbolo o un’immagine a cui la comunità è legata?

C: In un certo senso sì. Il nostro primo obiettivo è quello piantare alberi per recuperare porzioni di biodiversità, creare spazi verdi a beneficio delle comunità. Tuttavia, Centoboschi vuole altresì valorizzare la storia locale, utilizzando i boschi come medium per trasmettere messaggi, raccontare storie, ripescare aneddoti che forse sono stati dimenticati da molti, ma che non sono caduti nell’oblio. Vogliamo che le radici dei nostri alberi vadano davvero in profondità: rigenerazione ambientale ma anche culturale.

Per esempio, nel 2006, durante degli scavi presso il podere Reato, in località Saline, a pochi passi dal nostro primo bosco, è stata fatta una scoperta archeologica che ha contribuito a scrivere la storia del Paleoalveo del Po: una sepoltura funebre con uno scheletro pressoché intatto di una giovane donna.

Era già noto che, nella zona, vi fossero stati degli insediamenti romani: i precedenti scavi avevano messo in luce diversi livelli protostorici sotto al terreno arativo, ed erano stati rinvenuti suppellettili databili dal IX al VI secolo.

Nonostante sia un fatto eccezionale quello del ritrovamento della “Ragazza di Saline”, come è stata ribattezzata, la sua storia rischia di perdersi nell’oblio delle nostre vite frenetiche. Ce l’ha confermato con molta disponibilità il Dott. Raffaele Peretto, archeologo, che materialmente condusse le operazioni pochi mesi prima della pensione. Non essendo disponibili pubblicazioni non ci è restato altro che chiudere gli occhi cercando di immaginare come si potesse vivere all’età del bronzo. Quasi impossibile! L’incapacità diffusa a concepire qualcosa di diverso dalla nostra quotidianità è qualcosa di scandalosamente reale. I duemilacinquecento anni trascorsi ci dovrebbero far riflettere circa l’impronta che ciascuno di noi intende lasciare su questo pianeta. 

Noi, un’idea l’abbiamo maturata e pensiamo che sia giusto dedicare il bosco a lei, che è parte della nostra storia locale.

Centoboschi ritiene urgente piantare alberi?

C:   Rispondo con un adagio abbastanza famoso: “il migliore momento per piantare un albero era vent’anni fa. Il secondo momento migliore per farlo è adesso”. Pare l’abbia detto Confucio. Dà l’idea di come il tempo sia una risorsa a noi indisponibile. Non possiamo comprare il tempo. Le cose vanno, sfuggono alla nostra volontà: immersi nel torrente l’acqua che ci bagna i piedi non è mai la stessa. Chi si è illuso di poter possedere questa variabile è finito per diventare una caricatura di sé stesso, alla stregua di un moderno Dorian Gray. Tutto questo per dire che se avessimo piantato una quercia vent’anni fa ora potremo godere della sua ombra. Se lo facciamo oggi potranno goderne i nostri figli.  Ipotizziamo che tutte le foreste del mondo domattina improvvisamente andassero a fuoco, potremmo allora sbrigarci a piantare subito migliaia, milioni di alberi, ma non sarebbe sufficiente a salvarci la vita.

Sono molti i motivi per mettere a dimora alberi, tutti estremamente nobili.

Quali?

C: Ci arrivo subito ma prima di rispondere bisogna prendere coscienza della gravità della crisi ecologica che stiamo attraversando. Le proiezioni circa l’incremento della temperatura globale sono impietose, l’azione umana ha riempito i mari di plastica e le terre di rifiuti industriali, oggi un milione di specie viventi sono a rischio estinzione. Sono bastati due secoli per combinare un disastro di dimensioni epocali: è il prezzo da pagare per il benessere, come sostiene qualcuno? Può darsi… ma ci sono anche strade sostenibili da percorrere che non sottraggano alle future generazioni più delle risorse che noi abbiamo ereditato. Altrimenti la strada è destinata a diventare un vicolo cieco. Sì può uscire da questa grave condizioni solo con azioni concrete, non bastano le parole. Creare un bosco è creare la vita: non abbiamo idea di quante specie di uccelli possono viverci dentro finché non ci mettiamo dentro il naso. Piantare alberi si traduce banalmente con assorbimento della CO2 e produzione di ossigeno (solo in Italia ogni anno muoiono 76 mila persone a causa di patologie legate all’inquinamento dell’aria) ma anche con raffrescamento delle città, filtraggio delle acque piovane, contenimento del territorio, cibo e habitat per specie animali ed insetti, miglioramento della salute, anche mentale, delle persone. Le città del futuro dovranno essere necessariamente verdi.

Cosa volete trasmettere con questa iniziativa e quelle future?

C: Vogliamo costruire spaccati di vita, oasi di felicità a beneficio delle comunità che le ospitano. Molto dipende dai soggetti con cui intesseremo relazioni: il fondo di un privato non potrà essere fruito alla stessa maniera di un appezzamento comunale. Tuttavia le nostre creazioni dovranno essere “aperte”, se non fisicamente almeno concettualmente. I boschi saranno geolocalizzati in un’ottica di trasparenza e fruibilità immediata, così pure ciascuna pianta sarà geolocalizzata, fotografata e monitorata nel suo accrescimento. L’obiettivo è quello di costruire interazioni per godersi il bosco che cresce e regalare ai nostri sostenitori esperienze sempre nuove. 

La terra su cui camminiamo è impregnata di storia, una storia che ci accomuna, che va quindi conservata, tramandata, capita e onorata. Vogliamo tutelare la natura senza dimenticare la nostra storia. Il Polesine, e l’Italia più in generale, sono indissolubilmente legati a questi due aspetti: la natura e la cultura, le sue origini affondano le radici nel territorio e nei popoli che lo hanno abitato. Per questo vogliamo coniugare le due cose. Proviamo a dare ossigeno: in tutti i sensi. 

Le essenze arboree messe a dimora a San Martino di Venezze

Le essenze arboree presenti nel bosco della Fanciulla dal grano d’oro sono in prevalenza Farnia (Quercus robur) e il Frassino maggiore (Fraxinus excelsior) e Il Frassino Ossifillo (Fraxinus angustifolia). Vi si aggiungono inoltre esemplari di Bagolaro (Celtis australis) Acero campestre (Acer campestre), Faggio (Fagus) Nocciolo (Corylus avellana), Leccio (quercus ilex): tutte essenze visibili dal nostro sito e adottabili da qualsiasi persona che condivide il nostro sentire. Centoboschi è un progetto che guarda al futuro senza dimenticare il proprio passato, per seminare i semi di un mondo sostenibile.

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