L’amore per la vita: curare un orto per curare sé stessi e gli altri

If I can stop one Heart from breaking
I shall not live in vain
If I can ease one Life the Aching
Or cool one Pain
Or help one fainting Robin
Unto his Nest again
I shall not live in Vain

Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano
Se allevierò il dolore di una vita
o guarirò una pena
o aiuterò un pettirosso caduto
a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano

Emily Dickinson “If I can stop one Heart from breaking”
 (“Further Poems”, 1929)

Emily Dickinson, attraverso questa poesia estremamente delicata espone, con una sorta di riguardo e religioso rispetto, il suo modo di vivere la vita: il soave risultato è un involontario encomio autobiografico che rispecchia la biofilia della poetessa. Vissuta in un’epoca in cui lo sviluppo tecnologico era agli albori, il contatto con la vita e con la natura era molto più sentito rispetto ai giorni nostri e diventava a tratti, per Emily Dickinson (ma non solo), la sua ragione d’esistenza. 

Dal 1800, grazie all’inesorabile scorrere del tempo, la società si è evoluta raggiungendo grandi ed importanti obiettivi: da un lato, si sono sviluppati tratti dell’umano che hanno permesso un progresso scientifico di considerevole impatto, dall’altro lato, si sono affievolite ciò che sono le innate connessioni con l’ambiente naturale di cui anche l’essere umano fa parte.

Soffermandosi sull’attività dell’agricoltura, ad esempio, si può notare come essa, dal 1900 circa, abbia subito un’evoluzione che l’ha portata ad essere molto distante da ciò che sarebbe un’attività “a contatto con la natura”: l’utilizzo di pesticidi e concimi di sintesi, l’intensività, l’utilizzo di macchine agricole pesanti hanno portato ad un distacco dell’uomo da ciò che è il rispetto per l’ambiente in cui staziona e si rapporta, dimostrando una scarsa empatia (o meglio, biofilia) per ciò che è il suolo, la flora coltivata e spontanea, la macro- e microfauna e le matrici aria ed acqua nella loro interezza.

Biodiversità e agricoltura intensiva

La nostra associazione “Il Tarassaco” opera in Polesine in zone di pianura dove domina da decenni l’agricoltura intensiva. L’ambiente è stato alterato creando un forte disequilibrio tra aree boscate (pressoché assenti) e aree antropizzate, portando ad un distacco dell’uomo dalla natura.

Una foto scattata in autunno 2023 nel Delta del Po:
ettari ed ettari di terreno spoglio non lasciano alcun riparo o fonte di cibo alla fauna selvatica

Costruire Oasi di Biodiversità è una tematica di primaria importanza per la nostra associazione ed è uno degli obiettivi del nostro progetto “Centoboschi” ricercando forme e metodi per trasformare asettiche porzioni di terreno sfinite all’agricoltura intensiva in spaccati di natura e paesaggio. Gli alberi sono ovviamente il primo passo per una rinaturalizzazione.

Ma l’agricoltura è solo un piccolo esempio di come la percezione dell’ambiente in cui l’essere umano vive sia cambiata, influenzata da una visione sempre più antropocentrica, in quanto il suddetto schema sociale si può proporre in tutti gli ambiti della quotidianità.

Per lenire questa riduzione di innata empatia nei confronti delle forme di vita non umane, si sono sviluppate delle attività che si prefiggono, tra gli obiettivi, la riconnessione con la natura: una di queste è l’orticoltura terapeutica.

L’orticoltura terapeutica è una pratica riabilitativa finalizzata al recupero delle capacità della persona e si basa sull’incoraggiare ed accompagnare soggetti a prendersi cura delle piante e del verde attraverso attività organizzate e guidate.

Più precisamente è una pratica che “serve un gruppo di partecipanti definiti, con bisogni identificati, orientata verso una finalità specifica, basata su un procedimento di trattamento standard e che usa la coltivazione delle piante come attività primaria” (Dorn, Relf, 1995). La nascita di questo tipo di attività non è però da ricondurre come una risposta ad un bisogno di riconnessione con la natura: essa, difatti, nasce nel Nord America intorno al 1940 come forma di riabilitazione nelle cliniche in cui venivano seguiti i veterani di guerra, spesso affetti da Disturbo da Stress Post-Traumatico, in cui si proponevano attività in giardino e all’aperto. Negli anni ’40 le esigenze ed i bisogni degli uomini e delle donne facenti parte della società dell’epoca erano decisamente diversi rispetto a quelli dei singoli della società odierna, però la positività di risultati ottenuti svolgendo orticoltura e giardinaggio con uno sguardo più “consapevole” e “tecnico” ha dato origine a ciò che è l’orticoltura terapeutica moderna ed ha permesso di studiare i benefici che il contatto con il verde può dare al singolo ed alla comunità intera.

Le teorie che hanno contribuito alla nascita dell’orticoltura​

Teoria della rigenerazione dell’attenzione

(Kaplan & Kaplan, 1989)

Si basa su due componenti distinte: una componente di attenzione “involontaria”, denominata “fascination”, che è catturata da stimoli intrinsecamente interessanti, la quale non richiede alcuno sforzo per essere mantenuta ed è quasi impermeabile alle distrazioni, ed una componente “volontaria” detta attenzione diretta che, al contrario, richiede uno sforzo per essere mantenuta e l’intervento del meccanismo inibitore delle distrazioni.

L’ambiente naturale è pieno di stimoli di per sé “interessanti” che non richiedono sforzo mentale. Questo permette all’attenzione involontaria di attivarsi, consentendo ai circuiti cerebrali deputati alle funzioni attentive, in particolare la corteccia cerebrale prefrontale, di deattivarsi e rigenerare l’attenzione volontaria.

Teoria del recupero dallo stress o “Stress Recovery Theory

 (Ulrich, 1983)

In sintesi, enuncia che l’ambiente naturale promuove il benessere psicofisico, attivando risposte a livello emozionale, cognitivo e fisiologico, fino alla riduzione del battito cardiaco, della pressione sanguigna, della tensione muscolare e della conduttività della pelle, consentendo il recupero da situazioni di stress psicofisiologico.

Secondo la SRT gli ambienti naturali sono rigenerativi perché favoriscono il recupero da qualsiasi tipo di stress e soprattutto perché evocano immediatamente sentimenti di piacere e uno stato di rilassamento. La visione di scene naturali aumenta l’attività nelle regioni del cervello associate a un atteggiamento mentale positivo, stabilità emotiva, altruismo, empatia e amore profondo.

Ipotesi della biofilia

(Wilson, 2002)

Come abbiamo già visto, la biofilia è la tendenza innata, riconducibile ad un complesso di regole di apprendimento filogeneticamente adattive, al concentramento dell’attenzione sulle forme di vita e su tutto ciò che le ricorda e, in alcune circostanze, ad affiliarvisi emotivamente. Le principali caratteristiche della biofilia sono la fascinazione e l’empatia asimmetrica: la fascinazione consiste nell’attenzione involontaria che permetterebbe di rigenerare l’attenzione volontaria e di recuperarla (citata precedentemente attraverso la teoria di Kaplan), invece, l’empatia asimmetrica è una forma di empatia che deriva dal sentimento di affiliazione esistente nell’umano: esso ha origini da network neurali derivanti, per ex-adattamento, da reti di neuroni che guidano gli istinti materni/paterni e che sono la fonte di emozioni quali tenerezza, accoglienza ed istinto di protezione. Il sentimento di affiliazione può essere considerato quindi una specifica forma di empatia, intesa come la capacità di sentire, comprendere e condividere le emozioni di un’altra persona (empatia per condivisione partecipatoria). L’empatia per condivisione partecipatoria, se non interessa forme di vita umane, bensì animali, piante o interi complessi ambienti, si esprime come empatia asimmetrica (un umano può comprendere le emozioni di un altro essere vivente, ma non può condividerne l’esperienza).

Queste tre grandi teorie hanno dato genesi alla orticoltura terapeutica nella forma in cui la conosciamo ora, ovvero come una pratica che, oltre a prefiggersi obiettivi di natura riabilitativa (di stampo fisico, cognitivo, emotivo, psicologico e/o sociale) ed educativa, promuove una stimolazione dell’innata capacità del singolo di provare empatia per ciò che umano non è: la biofilia

Aree di intervento

Come detto in precedenza, lo sviluppo della biofilia non è l’obiettivo generale dell’orticoltura terapeutica in sè, essendo nata come forma di riabilitazione per i veterani di guerra.

I vantaggi generali che si prefigge questa pratica sono riassumibili in quattro grandi aree di intervento: cognitiva, fisica, psicologica e sociale.

Area cognitiva

Le attività che si possono eseguire all’interno di un giardino o di un orto possono sviluppare e mantenere processi cognitivi adibiti alla propriocezione (percezione del proprio corpo nello spazio), alla percezione dello spazio esterno e del tempo e la sequenzialità dell’ultimo, alla flessibilità cognitiva, al calcolo numerico ed problem solving.

Ad esempio, la costruzione di camminamenti all’interno di un orto può migliorare la percezione della propria persona all’interno di uno spazio ben definito, aiuta nel comprendere le misure di lunghezza e larghezza ed a fare semplici calcoli, oppure fermarsi ad osservare il lavoro che si ha eseguito in precedenza migliora la percezione del tempo e dà una sequenza temporale all’attività svolta (Ulrich, 1979; Hartig et al., 2003; Tennessen e Cimprich, 1995; Parsons et al., 1998)

Area cognitiva psicologica

Il giardinaggio e la cura verso un essere vivente è un “campo di gioco” in cui poter mettere in pratica il proprio senso di responsabilità.
Attraverso l’attività in orto ed in giardino, la persona si interfaccia con le reazioni che le piante offrono, aumentando considerevolmente l’autostima grazie all’ottenimento di ortaggi, frutti e fiori, come se fossero dei rinforzi positivi per il raggiungimento dell’obiettivo (Moore, 1989).

Anche l’ottenimento di un prodotto utile alla collettività rafforza l’autostima del soggetto che svolge l’attività, in quanto si sente partecipe del benessere comunitario. 

Seminare un seme o mettere a dimora una pianta mette in una prospettiva futura; la pianta reagisce agli stimoli ambientali molto precisamente e porta quindi l’utente ad una costante osservazione, creando l’aspettativa di andare a vederne le condizioni giorno per giorno, distraendolo da eventuali terapie o condizioni che a volte possono essere anche dolorose.

Il giardino permette anche di cambiare il proprio rapporto con il tempo in quanto insegnante per l’accettazione dei propri ritmi dovuti all’avanzare di qualche malattia o per qualsivoglia causa; in giardino la rapidità si impara nella lentezza e nel rallentamento adeguandosi ai ritmi naturali (Perticari, 1996).

Area fisica e sociale

Un orto o un giardino può aggregare persone diventando un’occasione di contatti sociali (Tenngart Ivarsson e Grahn, 2010), promuovendo alti livelli di attaccamento tra vicini (Bonaiuto et al, 1999), e senso di appartenenza ad una comunità (Kweon et al, 1998).
La promozione di relazioni sociali porta al miglioramento della salute ed all’aumento del benessere e, d’altro canto l’isolamento sociale porta ad un aumento del rischio di mortalità (House et al, 1988).
La capacità di produrre qualcosa di apprezzato da altri che sono disposti a pagare per averlo, fa spostare i partecipanti dal ruolo di chi ha bisogno di altri a quello di chi dà qualcosa di valore agli altri, creando inoltre la possibilità di interazione diretta con il pubblico che riduce l’isolamento sociale nel quale i pazienti vengono non di rado a trovarsi (Righetto, 2015).

Natura, cura, educazione, comunità

Dagli anni ’40 ad oggi le ricerche sono aumentate e con esse anche la sensibilizzazione al tema della natura come strumento di cura: la società cambia ed evolve in base a ciò che ritiene un’esigenza.
Al giorno d’oggi, l’esigenza diventa ricercare strategie terapeutiche ed educative che non risultino soffocanti o alienanti, sia sul piano sociale, psicologico e fisico, ma che al contrario portino a considerare il soggetto come parte di un sistema molto più grande, di una comunità estesa in cui fanno parte altri uomini e donne, ma anche animali, piante, funghi e batteri.

Mi piace pensare che l’essere umano si stia prendendo del tempo per riflettere su ciò che è, che stia rallentando per porsi la domanda “Da dove vengo io realmente?” e che tutte le risposte si possano trovare nell’arricciamento di naso dato dall’inspiro di una spiga di lavanda.

Mi piace pensare che anche altri esseri umani credano che non avranno vissuto invano se aiuteranno un pettirosso caduto a rientrare nel nido o se impediranno ad un cuore di spezzarsi.

Per approfondire gli argomenti trattati, consiglio le seguenti letture:

  • “Biofilia. Il nostro legame con la vita”, E. O. Wilson, Piano B, 2021.
  • “Ecologia Affettiva”, Giuseppe Barbiero, Mondadori, 2017.
  • “Horticultural Therapy Methods. Connecting People and Plants in Health Care, Human Services, and Therapeutical Programs”, R. L. Haller e C. L. Capra, CRC Press, 2017

ARTICOLO SCRITTO E CURATO DA:

ENRICO ANDREOTTI Laureato in Tecniche Erboristiche con un master di I livello in Orticoltura Terapeutica, pianifica e svolge attività in natura per il benessere psicofisico e sociale di persone in situazione di svantaggio, in particolar modo attraverso la coltivazione di orti e giardini. Da sempre appassionato di botanica ed educazione con una forte propensione all’accudimento, ha unito i suddetti interessi per occuparsi di orticoltura terapeutica ed ecopedagogia.